Nei Vangeli della settimana santa, la notte del Getsemani è l’esperienza centrale che apre al racconto della Passione e che lascia dietro di sé, come sullo sfondo, l’entrata festosa e trionfale di Gesù a Gerusalemme avvenuta soltanto pochi giorni prima. Questa esperienza fa da spartiacque alla narrazione evangelica della vita di Gesù. E’ l’ora che rende credibile la Parola, la predicazione, che deve trovare verità nella testimonianza, poiché la verità del Verbo si sostanzia solo nella sua incarnazione; poiché i valori non esistono solo su un piano trascendentale, teoretico, disincarnato. Questa è la verità profonda alla quale il cristianesimo non si sottrae, ma che in questo momento cruciale della vita di Gesù si dispiega in tutta la sua potenza simbolica: è questo il momento in cui Gesù si confronta con il proprio desiderio e interiorizza la Legge attraverso tutti i passaggi cruciali delle sue ultime ore: la caduta, i tradimenti, l’assoluto abbandono e la preghiera. Infatti “l’ora del Getsemani non è l’ora di Dio ma quella dell’uomo”.
In quelle ore Gesù vive ripetutamente l’esperienza radicale del tradimento. Giuda, uno dei dodici, -uno che aveva condiviso l’intimità e la tavola con Gesù – per portare a termine il suo progetto premeditato, scioglie il patto simbolico che aveva con il suo Maestro, rifiuta – come avevano già fatto Adamo ed Eva, figura del primo tradimento nei confronti del Creatore – il debito simbolico nei confronti di Gesù e respinge il valore inestimabile del dono che aveva ricevuto, anzi degrada la vita del suo Maestro, svendendolo per la somma irrisoria con la quale era possibile comprare uno schiavo. Ma se per R. Gesù è una “figura radicale del desiderio”, intendendo per desiderio una forza potente e “sovversiva”, un fuoco che mette in moto, trasforma, appassiona, che fa ripartire, che dona vita alla vita e la strappa al potere della morte, cosa muove Giuda? Per R. in Giuda, il passaggio dall’amore all’odio è avvenuto in seguito alla caduta dell’innamoramento idealizzante per Gesù. E’ venuta meno in Giuda, la capacità di accogliere l’alterità dell’Altro rispetto alle sue aspettative politiche. E’ Gesù, per Giuda, ad aver tradito la causa, e quindi il tradimento del discepolo è la conseguenza della ferita narcisistica del suo amore deluso. Anche quando lo saluta “Salve, Rabbì!”, prima di baciarlo, lo equipara a tanti altri Rabbì, lo degrada. Gesù a questo punto per Giuda non è più il Maestro, alla cui Parola il discepolo si è alimentato per tanto tempo, ma un fardello insopportabile del quale liberarsi con violenza al più presto dopo averlo de-idealizzato.
Se Giuda è il cattivo erede, Pietro è colui che tradisce il proprio desiderio, che entra in dissonanza con se stesso. Il tradimento di Pietro è prima nei confronti di se stesso. Ecco perché è la figura che più ci interpella. Pietro è colui che di fronte alla domanda di Gesù “Ma voi, chi dite che io sia?” aveva risposto con una fede granitica illuminato dallo Spirito Santo “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt 16, 15-16); è il discepolo che riceve le chiavi del Regno e al quale Gesù dice: “ Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa” ( Mt 16, 18). Eppure Pietro, nella notte del Getsemani, tradirà tre volte il suo Maestro, salvo poi piangere amaramente dopo. Per R., Gesù con il tradimento di Pietro “sta destituendo ogni idealizzazione eroica della fedeltà”(M. Recalcati, “La notte del Getsemani”, p. 51) e sta rendendo evidente l’ambivalenza che attraversa ogni legame d’amore umano: anche quello più solido, non sempre è all’altezza e coerente con il proprio desiderio. Fragilità, insicurezza, scissione interiore, contraddizione ed inciampo appartengono anche al sentimento più puro. Ma le lacrime amare di Pietro hanno tanto da insegnare sull’amore umano. Tradimenti, contraddizioni, sbagli, fallimenti sono sempre dietro l’angolo, ma fare contatto con le proprie povertà e fragilità, con le incoerenze del proprio desiderio, non impedisce l’amore ma “lo fonda, lo rende possibile, lo istituisce” (op. cit. p. 53). Scoprire che l’amore ideale non esiste, ci dà la possibilità di non rinnegare questa mancanza, ma di accoglierla e farne il fondamento nuovo dell’amore.
Gesù nel Getsemani attraversa le ferite più profonde che un uomo è chiamato ad affrontare: il tradimento, l’angoscia, la paura della morte, la solitudine, l’abbandono. Ma è solo uno il modo con cui Gesù sceglie di attraversare la notte buia dell’anima e di affrontare l’oppressione e l’angoscia che lo schiacciano: attraverso la preghiera, che si ripete tre volte. Il Getsemani è l’ora dell’agonia, dell’umanità disarmata e disarmante di Gesù. Vorrebbe che i suoi vegliassero in preghiera con lui per condividere il peso della morte che arriva; ma i discepoli lo lasciano solo. Dormono placidamente. Il sonno dei discepoli è un’altra figura del tradimento vissuto da Gesù: i fratelli non sanno stargli vicino nel momento della caduta, della solitudine, della dis-grazia. Per R. “Gli allievi non possono tollerare la castrazione (simbolica) del Maestro, la sua imperfezione, la sua umanità. Per questo si rifugiano nel sonno; essi non vogliono vedere il loro Ideale cadere nella polvere”. (p. 60). I discepoli non riescono a vegliare perché vogliono continuare a sognare Gesù che entra festante tra gli Osanna a Gerusalemme. “Non vogliono avere contatti con la ferita del Figlio abbandonato dal Padre”.
Nella prima preghiera, Gesù nell’orto degli ulivi invoca il Padre, prostrato con la “faccia a terra” (Mt 26,39). Non prega come un Dio, ma come un uomo che si rivolge a Dio vissuto come Padre (Abbà). E qui Gesù sperimenta scandalosamente per la prima volta nella sua vita il silenzio di Dio, il silenzio del Padre, che fino a quel momento gli era sempre stato vicino e da cui era sempre stato accompagnato. Qui emerge in tutto il suo nitore abbagliante l’umanità di Gesù, esposto come tutti al silenzio misterioso ed assordante del Cielo. Cosa emerge dalla prima preghiera di Gesù? Gesù chiede al Padre di sospendere la Legge, come avvenne nel sacrificio di Isacco? Chiede di piegare la durezza della Legge alla Legge dell’amore? Chiede egli stesso di essere un’eccezione all’inumanità della Legge in nome della Legge della Vita? E tutto questo non è forse perfettamente coerente con la predicazione di Gesù nella quale egli stesso dichiara di voler portare a compimento la Legge sottraendola però allo spirito della vendetta e del sacrificio nel nome dell’amore? La supplica che Gesù rivolge a Dio chiedendoGli di dispensarlo dal bere fino in fondo il calice amaro, come sappiamo, cade nel vuoto. E qui Gesù, come Giobbe, sperimenta il silenzio del Padre. Bonhoeffer a tal proposito affermava che “Cristo non ci aiuta in forza della sua onnipotenza, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza”. Nella seconda preghiera, il silenzio traumatico dell’Altro, la ‘mancanza’ di una risposta costringe Gesù a cambiare la sua posizione, “a trovare la Legge nel proprio cuore, a non ricercare la Legge nel luogo dell’Altro”; egli non chiede la sospensione della Legge, ma la sua assunzione. Gesù nel silenzio dell’Altro compie la libera scelta di aderire al proprio destino, di aderire al proprio desiderio “scegliendo di donare la sua vita non ad una Legge che agisce contro la vita, ma ad una Legge il cui compito è quello di affermare la vita al di là della Legge. Di affermarla radicalmente – al di là della Legge e al di là della morte – proprio perché portata sin dentro la morte”. Gesù, afferma R. non intende promuovere alcun sacrificio di sé, intendendo il sacrificio in un’accezione masochistica e nichilistica, ma intende consegnarsi a se stesso, trova in se stesso la Legge: la Legge del proprio desiderio. Una nuova Legge (per R. riscattata dal fantasma mortifero del sacrificio), la Legge della assoluta donazione di sé, una legge sovversiva, eccessiva ed illimitata che “assumendo la propria vita come consegnata, la libera da ogni consegna”. Tutto questo è reso paradossalmente possibile proprio dal silenzio di Dio, dal vuoto, dal silenzio dell’Altro, il quale non saturando lo spazio della risposta, la riconsegna a Gesù permettendogli di trovare in se stesso la propria verità, di aderire pienamente al proprio desiderio. La mancanza e il silenzio di Dio nel Getsemani producono due effetti: la sorpresa e l’irreversibilità. Lacan, il maestro di Recalcati, avrebbe affermato che una volta incontrata la propria verità, il processo diviene irreversibile: non si può più tornare indietro.
Massimo Recalcati, La notte del Getsemani, Einaudi, 2019
Ida Volpe